La Terapia della Dignità è stata sviluppata a partire dai primi anni Duemila da Harvey Max Chochinov e dalla sua équipe in Canada. Un intervento innovativo, originariamente destinato alle persone che si trovano in condizioni che limitano la durata della vita, che promuove il benessere spirituale e psicologico, genera senso e speranza, rende accettabile l’esperienza del fine-vita e aiuta le persone che restano.
Sostiene il paziente onorando la sua unicità di essere umano, con la sua storia irripetibile, le sue relazioni uniche, le sue verità interiori e i suoi messaggi più preziosi. La persona viene incoraggiata a riflettere su e a raccontare se stessa, la sua vita, ciò che adesso sente come più importante e per cui vuole essere ricordata. Il terapista ascolta, accoglie, guida e restituisce in forma scritta al paziente l’oggetto del suo racconto. Si crea così un testo, chiamato “documento generativo”. Tale documento ha dei destinatari, scelti dal paziente stesso, che lo offrirà loro. I destinatari rimarranno custodi eletti di questo lascito inestimabile.
La Terapia della Dignità è un intervento terapeutico che agisce sul piano esistenziale/spirituale della persona, che nelle cure palliative viene curato al pari di quello fisico e di quello psicoemotivo. Ciò che la differenzia da altri tipi di interventi esistenziali è la sua base sperimentale. Si tratta infatti di un intervento basato su studi clinici controllati e solide prove d’efficacia grazie alle quali – come Chochinov ricorda durante i suoi insegnamenti – “può essere inserito nell’offerta terapeutica al pari di un’aspirina”. Il primo trial clinico è stato pubblicato nel 2005 sul Journal of Clinical Oncology e ha analizzato l’impatto della Terapia della Dignità su pazienti canadesi e australiani con meno di 6 mesi di aspettativa di vita. Il 91% si è dichiarato soddisfatto, il 76% ha riportato un aumentato senso della dignità, il 68% un incremento nel senso dello scopo, il 41% un aumento nella voglia vivere; l’81% la convinzione che il documento generativo aiuterà la loro famiglia. Da allora sono stati effettuati diversi studi in tutto il mondo (oltre una trentina in 11 Paesi diversi) che hanno dimostrato l’efficacia della Terapia della Dignità nel migliorare la qualità vita e il benessere spirituale e psico-esistenziale del paziente, con conseguente diminuzione di sofferenza e angoscia.
Non solo: questo intervento sostiene anche i familiari – e con “familiari” si vuole intendere qui le persone più care al paziente – ossia i destinatari del documento generativo, rivelandosi anche in questo senso un intervento piuttosto unico, dato che i suoi effetti si manifestano anche dopo la morte del paziente stesso. In uno studio di follow-up sui familiari dei pazienti che avevano ricevuto la Terapia della Dignità (Journal of Palliative Medicine, 2007), il 95% di essi ha dichiarato che tale terapia ha aiutato il paziente e la stessa percentuale raccomanda questo intervento per altri pazienti; il 78% di essi ha dichiarato che il documento generativo è uno strumento che li ha aiutati nella fase di elaborazione del lutto, e il 77% pensa che tale documento continuerà a essere fonte di conforto per loro e la loro famiglia. L’efficacia della Terapia della Dignità anche sui familiari si inserisce perfettamente nello spirito delle cure palliative dove, almeno idealmente, paziente e familiari sono considerati un’unica unità di cura.
Il senso dell’intervento è proprio un’esaltazione del senso. Punta dritta allo “empowerment” del paziente e dà potere alla persona proteggendo e rafforzando il senso di dignità che deriva dalla consapevolezza di sé e dal controllo sulle proprie scelte. Ogni intervento è “cucito addosso” alla persona, libera di esprimere le sue verità – con riguardo, di cui si preoccupa il terapista, ai terzi eventualmente coinvolti.
La Terapia della Dignità va a toccare diversi fattori. Il primo è la continuità del sé: quando una persona sperimenta uno sconvolgimento radicale del senso del sé che aveva da sempre – e molte storie di malattia portano a questo – ciò può arrecare moltissima sofferenza. Per questo si rivela d’aiuto un intervento che porta a fare focus sulla propria storia, le proprie conquiste e la propria identità. A cascata vengono coinvolti altri elementi. La fierezza. La speranza, non più legata al prolungamento della vita, ma al dare un senso, a usare il – poco – tempo che rimane per fare ancora qualcosa di significativo. E poi l’avere – ancora e di nuovo – un progetto, un obbiettivo concreto e realizzabile: ciò è possibile poiché l’intero intervento viene completato in tempi molto brevi –pochi giorni. La preservazione del ruolo – rispetto, spesso e soprattutto, ai legami familiari. E poi, naturalmente, peculiare e primario è l’aspetto del lascito, la promozione della generatività: viene data un’opportunità di lasciare qualcosa di tangibile che sopravvivrà alla persona stessa, trascendendo l’evento della sua morte.
Per la sua capacità di influire sugli aspetti sopra elencati, si può pensare alla Terapia della Dignità quale stimolo, supporto, fonte e materia delle “Conversazioni di Fine Vita”, in questo senso di supporto anche al lavoro dell’équipe dei curanti.
La Terapia della Dignità viene praticata da terapisti formati provenienti da background professionali diversi che includono operatori spirituali, infermieri, psicologi, medici, psichiatri, giornalisti, assistenti sociali. Imprescindibile è la capacità di ascolto, accoglimento e di essere “presenti”: “Se il coinvolgimento del terapista non è sincero, autentico, questa terapia non può funzionare”- dice Chochinov.
Tale modo di porsi ricalca e approfondisce ciò che costituisce il fondamento della “Dignity in care”, modello sviluppato da Chochinov che fa della dignità un valore di cura, con l’obbiettivo di impregnare l’intero sistema sanitario di una cultura orientata alla compassione e al rispetto.
Per la sua potenzialità e straordinarietà, la Terapia della Dignità è oramai usata in modo piuttosto trasversale non solo nel fine vita ma in altre fase di malattia (con prognosi più o meno fausta), in diversi contesti sanitari e persino non sanitari.